SOCIOLOGIA: GLOBALIZZAZIONE. VIVERE IN UN MONDO GLOBALE

 VIVERE IN UN MONDO GLOBALE: PROBLEMI E RISORSE 



LA GLOBALIZZAZIONE E' UN BENE O UN MALE?
La globalizzazione è un fenomeno che suscita dibattiti e prese di posizione spesso contrastanti
La percezione del mutamento rapido e radicale che il mondo sta attraversando è avvertita, in misura più o meno elevata, da tutte le persone, e per questo diventa fonte di interrogativi e valutazioni. 

I vantaggi?
- La realtà di un mondo spazialmente più compatto, in cui le distanze sono accorciate e la mobilità di cose, persone e idee si sviluppa con estrema facilità, è indubbiamente vista con simpatia
- Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e le straordinarie opportunità che esse offrono in termini di accesso alle informazioni e di operatività generano l'idea di una "comunità" mondiale, in cui le questioni più importanti possano essere finalmente affrontate e risolte con strumenti adeguati.

Ci si deve riferire anche all'aspetto economico della globalizzazione.
Coloro che sono favorevoli intravedono in essa una possibilità promettente, soprattutto per l'impatto che potrebbe avere sulle zone più povere del mondo. Si auspica che la delocalizzazione e in generale gli investimenti produttivi nei paesi in via di sviluppo possano ridurre il gap che attualmente li separa dagli Stati più industrializzati e produrre così una più equa redistribuzione della ricchezza a livello mondiale. 

Gli svantaggi?
- gli investimenti delle imprese nei paesi in via di sviluppo non si sono distribuiti in modo uniforme, ma si sono concentrati in precise regioni del mondo. 
In molti paesi rimane precaria la situazione del proletariato industriale, che lavora con salari bassissimi e senza alcuna tutela sindacale, fenomeno che porta spesso allo sfruttamento della manodopera minorile. 
- alla diminuzione della povertà assoluta si è accompagnato un aumento del divario tra ricchi e poveri: ancora oggi una ristretta percentuale della popolazione mondiale detiene la maggior parte della ricchezza del pianeta, e questa élite vive perlopiù in Occidente.

La situazione non è migliore nella distribuzione della ricchezza nei singoli Stati: la forbice sociale tra ricchi e poveri sembra allargarsi sia nei paesi economicamente più sviluppati, dove si assiste alla graduale proletarizzazione del ceto medio, sia nei paesi in via di sviluppo, dove spesso le situazioni di crescita hanno incrementato i redditi di funzionari, imprenditori, tecnici, senza coinvolgere significativamente il resto della popolazione.

Gli esperti di statistica descrivono questa situazione usando il cosiddetto coefficiente di Gini, ossia il rapporto tra la concentrazione di un determinato carattere quantitativo presente nella popolazione (in questo caso il reddito) e la sua ideale equidistribuzione all'interno della stessa. 

All'acutizzarsi dei conflitti sociali, causato da una disuguale distribuzione delle risorse a livello mondiale, si aggiunge poi un'altra fonte di preoccupazione, e cioè gli squilibri ambientali derivanti da uno sfruttamento insostenibile dell'ecosistema


UN'ALTERNATIVA E' POSSIBILE?

La percezione dei fattori di criticità della globalizzazione come sintomi di un'oggettiva situazione di pericolo e iniquità, e la volontà di orientare l'economia globale in una direzione non esclusivamente dominata dalle logiche del profitto, ma sensibile anche alle istanze dei paesi più poveri e dell'ambiente ha generato nell'opinione pubblica un atteggiamento diffuso di critica, che ha assunto forme diverse e si è spesso tradotto in concrete iniziative operative.

A livello internazionale, ha particolare visibilità, il movimento no global. 
Nato nel 1999 a Seattle, in occasione del vertice del WTO (World Trade Organization) sul commercio mondiale, esso comprende una vasta rete di gruppi e associazioni, spesso molto diversi tra loro per orientamento ideologico, modalità e obiettivi politici della loro azione, che si oppongono alla politica delle organizzazioni economiche mondiali e delle imprese transnazionali e propongono una globalizzazione alternativa, a beneficio dei paesi in via di sviluppo e dei settori più deboli della popolazione mondiale.

Alcuni sociologi ritengono più corretta la denominazione "new global", dal momento che gli stessi protagonisti del movimento sostengono che la loro protesta non è contro la globalizzazione, ma per una globalizzazione diversa, solidale, rispettosa dell'ambiente, che si ponga dalla parte dei paesi in via di sviluppo e delle culture che rischiano di scomparire in seguito alla diffusione del modello di vita occidentale.

Ma quali aspetti della globalizzazione sono valutati positivamente dal movimento e quali invece sono rifiutati e combattuti?

>Gli aspetti positivi:
Il movimento no (o new) global, che ha una struttura transnazionale aperta a rete, apprezza le infrastrutture e le tecnologie odierne, di cui si serve ampiamente, per comunicare all'interno e con l'esterno si avvale principalmente di Internet, che è considerata un mezzo di comunicazione democratico, capace di veicolare e diffondere ovunque informazioni corrette; e la possibilità di spostarsi velocemente e le opportunità di incontro tra culture diverse offerte dai mezzi di trasporto.

>Gli aspetti negativi:
Le critiche sono rivolte alle strutture economiche e politiche del mondo contemporaneo, alle imprese transnazionali e all'azione di alcuni organismi come il FMI, la Banca Mondiale, il WTO, accusati di imporre una politica liberoscambista che arricchisce i già ricchi e mantiene in una condizione di povertà, dipendenza economica e sottosviluppo i più poveri.

>Le iniziative:
Il movimento organizza ogni anno i Social Forum, incontri mondiali che si svolgono nel mese di gennaio, in contemporanea con il Forum Economico Mondiale, per confrontarsi sulle tematiche più importanti e coordinare le attività nei diversi paesi. 
A livello locale, esso promuove buone pratiche come il consumo equo e solidale, cioè l'uso di canali di distribuzione commerciale alternativi a quelli gestiti dalle grandi multinazionali, tramite l'acquisto di prodotti provenienti direttamente da piccole cooperative situate nei paesi in via di sviluppo, rintracciabili in piccoli empori specializzati ma sempre più presenti anche sugli scaffali dei grandi punti vendita.


UN PUNTO DI VISTA RADICALE: LA TEORIA DELLA DECRESCITA

La preoccupazione per gli squilibri sociali e ambientali dell'economia globalizzata ha indotto molti intellettuali a mettere radicalmente in discussione i presupposti su cui essa si regge, in particolare l'idea di sviluppo che vi è sottesa. 

Una critica particolarmente radicale a questo modello è rappresentata dalla cosiddetta teoria della decrescita, che ha, tra i suoi esponenti principali, il filosofo ed economista Serge Latouche.

La teoria della decrescita è una teoria economica che sostiene la decrescita, basata su principi ecologici, anticonsumistici, sociali e culturali che prefigurano una nuova civiltà in contrapposizione a quella regolata dalla crescita economica; la decrescita è un concetto socio-economico secondo cui la crescita economica (legata al PIL) non porta di per sé a un maggiore benessere. 

La teoria della decrescita parte dal presupposto che il concetto di sviluppo su cui si fonda la società industriale contemporanea sia viziato da un equivoco di base, ossia la tendenza ad assumere la crescita del PIL come parametro più significativo. Il PIL è un dato numerico, he indica la quantità di beni e servizi prodotti in un certo stato, in funzione dei consumi dei cittadini. Il suo aumento quindi non equivale necessariamente a benessere, anzi spesso si pone in contrasto con esso. 

Secondo i teorici della decrescita un modello di sviluppo che persegua solo il forsennato aumento della produttività non compromette la soltanto la qualità della vita ma ne mette oggettivamente in pericolo le fondamenta. 

Dunque è necessario proporre un modello economico alternativo, basato sulla riduzione dei consumi e sul ridimensionamento del ruolo del mercato nel soddisfacimento dei bisogni umani. 



LA COSCIENZA GLOBALIZZATA
La globalizzazione ha effetti decisivi anche sul modo in cui le persone vivono e percepiscono la loro vita.

Ognuno di noi ha la sensazione che in poco tempo la realtà sia cambiata e che tali mutamenti, lungi dall'essersi esauriti, debbano continuare ancora indefinitamente.

Abbiamo la percezione che il mondo sia improvvisamente diventato "più piccolo", che la velocità con cui i mezzi di comunicazione ci informano degli eventi abbia di colpo reso familiare ciò che un tempo era avvertito come estraneo o scarsamente rilevante per la nostra esistenza.

ln questo contesto globalizzato, le persone vivono il sentimento di un'interdipendenza globale: sono cioè consapevoli che quanto avviene in qualsiasi punto del mondo, si tratti di una crisi politica, di una congiuntura economica o di una catastrofe naturale, può avere effetti decisivi sulla vita di tutti.

Questa sensazione, se da un lato può favorire la maturazione di una coscienza critica e di un sentimento di responsabilità collettiva, da un altro lato può per converso generare un senso di smarrimento e di impotenza, nella misura in cui l'individuo ha l'impressione che il complesso degli eventi e delle loro relazioni sia al di là della sua capacità di comprensione e controllo.

Anche la ricchezza e rapidità con cui le informazioni ci raggiungono accresce questa impressione, impedendoci spesso di distinguere, nel caos dei dati di cui disponiamo, ciò che è affidabile da ciò che è dubbio, ciò che è fondamentale da ciò che è di minore importanza, ciò che è definitivo da quanto invece è in fase di evoluzione.

L'uomo globalizzato vive pertanto in una situazione psicologica di precarietà e incertezza, in cui l'inadeguatezza di fronte ai continui mutamenti si sposa con l'impossibilità di costruire situazioni stabili, sul piano professionale e su quello degli affetti' nell'appagamento di bisogni materiali e non. Per designare questa particolare situazione dell'uomo globalizzato il sociologo Zygmunt Bauman ha coniato l'espressione vita liquida.








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