SOCIOLOGIA: IL LAVORATORE OGGI

 IL LAVORATORE OGGI


C'ERA UNA VOLTA ...LA "CLASSE LAVORATRICE"

Con l'affermarsi dell'industrializzazione e del lavoro salariato, in occidente aveva preso forma un nuovo soggetto sociale: la classe lavoratrice. 

Con questa espressione, si deve intendere l'insieme di tutti quegli individui per i quali il lavoro costituisce l'unico potenziale mezzo di guadagno, in assenza di altre fonti di ricchezza

Per designare queste persone si cominciò a utilizzare l'appellativo di proletari, ovvero coloro che "posseggono" soltanto i propri figli, la propria prole, anch'essi braccia potenziali da avviare al lavoro.

Dei proletari cominciarono a interessarsi molti studiosi, come gli economisti Jean-Charles Léonard Simonde de Sismondi e Lorenz von Stein, il filosofo e sociologo positivista Henry de Saint-Simon e Karl Marx.


Nei Manoscritti economico-filosofici (scritti nel 1844, ma pubblicati postumi nel 1932), Marx descrive la condizione del proletariato industriale nei termini di un'inesorabile estraniazione del lavoratore dalla sua attività, e, in ultima analisi, dalla sua stessa natura umana

Privo di ogni diritto sui prodotti della sua opera, asservito a ritmi di lavoro indipendenti dalla sua volontà perché dettati dalle macchine, costretto a percepire gli altri individui come temibili concorrenti nella lotta per l'occupazione, l'operaio industriale vive il lavoro non come una realtà che lo realizza e lo completa, ma piuttosto come un'attività a lui estranea, in cui è semplice strumento di fini che non gli appartengono. 

E poiché, secondo Marx, il lavoro non costituisce un'attività tra le tante, ma l'attività più tipica dell'uomo, quella che lo distingue dal mondo animale e lo rende capace di modificare la natura che lo circonda secondo i propri progetti razionali, l'estraniazione dal lavoro comporta quella radicale perdita di se stessi, quell'irrevocabile smarrimento della propria essenza di uomini che lo studioso definisce alienazione.

Per Marx la proletarizzazione del lavoratore, ovvero il processo per cui il lavoratore diventa proletario costituisce una tendenza intrinseca del sistema di produzione capitalistico, destinato a generare, a suo giudizio, due dinamiche complementari: 

- la concentrazione della ricchezza in un numero sempre più esiguo di persone: i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione;

- la formazione di masse sempre più ingenti di individui proprietari solo della propria forza lavoro.


Il processo di proletarizzazione avviene in due direzioni: 

> coincide con la progressiva perdita di autonomia del lavoratore, ridotto al rango di semplice "prestatore d'opera", al servizio di altri. 

> esso si identifica con il progressivo impoverimento economico e spirituale del salariato, che diventa, in rapporto al capitalista, proporzionalmente sempre più povero, più alienato, più dequalificato.


LE TRASFORMAZIONI DEL LAVORO DIPENDENTE

L'idea di una progressiva omogeneizzazione e omologazione verso il basso del lavoro salariato sembrerebbe contraddetta dagli sviluppi della storia occidentale. 

Se agli inizi dell'industrializzazione la classe lavoratrice era composta prevalentemente da operai, addetti al semplice controllo delle macchine, con il tempo essa si è diversificata al suo interno: è cresciuta la componente impiegatizia, sono nate nuove figure, ciascuna delle quali dotata di una specifica professionalità. Ciò ha indubbiamente modificato la percezione che la classe lavoratrice aveva di se stessa: al sentimento di un'identità comune, che guidava le prime rivendicazioni ottocentesche, si è sostituita spesso un'ottica più corporativistica, tesa ad affermare gli interessi di una categoria particolare, o comunque a sottolineare le differenze tra le diverse tipologie di lavoratori.


Inoltre si ha la distinzione tra blue collars e white collars, ossia tra la classe operaia e il ceto impiegatizio. 

A tale distinzione è dedicato il saggio del sociologo Charles Wright Mills, intitolato appunto Colletti bianchi (1951) in cui lo studioso effettua una spietata disamina della classe media americana a lui contemporanea, di cui gli impiegati costituivano la categoria professionale più rappresentativa.

Nel suo testo, Mills sottolinea come, a dispetto del loro status effettivo, i colletti bianchi americani nutrano illusioni di ascesa sociale e di acquisizione di maggior prestigio, e cerchino con il loro stile di vita di prendere le distanze dagli operai salariati, senza rendersi conto di condividerne in realtà il destino di subordinazione e spersonalizzazione

La proletarizzazione del lavoro salariato è un fenomeno molto più reale di quanto gli stessi lavoratori possano averlo percepito. Al di là delle differenti professionalità, mansioni e retribuzioni, nella società industriale avanzata i lavoratori dipendenti condividono di fatto una medesima condizione, caratterizzata dalla mancanza di controllo sulle condizioni di erogazione del lavoro, dal rischio disoccupazione, e, in misura sempre maggiore, dalla precarietà dello status economico. 

Ne è una spia il divario sempre più ampio tra un'élite detentrice di ingenti patrimoni e il resto della società, a cui si assiste anche nei paesi economicamente più sviluppati, e la conseguente scomparsa del cosiddetto "ceto medio", in cui tradizionalmente confluivano i "colletti bianchi" dell'industria.


LA TERZIARIZZAZIONE DEL LAVORO

Con le trasformazioni del lavoro dipendente, si è sviluppato un fenomeno che ha caratterizzato l'economia dei paesi industrializzati nel corso del XX secolo: il processo di terziarizzazione

Con questo termine si indica la progressiva espansione del settore dei servizi, che ha finito per accogliere una quantità sempre più consistente di forza-lavoro.

L'industrializzazione è andata di pari passo con la diffusione della vita urbana e la crescita delle città ha richiesto una serie di servizi, commerciali, amministrativi, finanziari, che hanno finito per creare altrettanti sbocchi occupazionali. 

Sono state le stesse esigenze delle industrie a stimolare l'incremento del terziario: una produzione sempre più massiccia e diversificata comporta infatti lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, la moltiplicazione dei punti vendita, la nascita di attività legate a servizi bancari e assicurativi. Questo significa che la terziarizzazione non si è contrapposta allo sviluppo del settore secondario, l'industria, ma ne è stata un logico completamento.


Esiste un terziario "tradizionale", che si identifica con i settori di più antica data: il commercio, i trasporti, il turismo, i servizi bancari e assicurativi. 

Il fenomeno più caratteristico degli ultimi decenni è l'esplosione del cosiddetto terziario avanzato, che riunisce il complesso dei servizi caratterizzati da un'elevata specializzazione e professionalità: la ricerca scientifica e tecnologica, il marketing, la pubblicità, la fornitura di supporti informatici.

Il terziario avanzato rivolge i suoi servizi non tanto alle persone, ma principalmente alle imprese, andando incontro all'esigenza, da esse avvertita, di promuovere attività necessarie per la crescita dell'impresa stessa anche se non direttamente produttive.

Con la globalizzazione dei mercati, strutture e persone in grado di prestare servizi del settore terziario avanzato sono spesso ricercate nel panorama offerto dai paesi in via di sviluppo, allo scopo di ridurne i costi.



TRA MERCATO E WELFARE; IL COSIDDETTO "TERZO SETTORE"

Una delle realtà più rilevanti che nelle società occidentali degli ultimi trent'anni si è "intersecata" con il mondo del lavoro è quella del cosiddetto terzo settore

con questa espressione si intende l'insieme di quei soggetti sociali che svolgono attività finalizzate alla promozione del benessere collettivo, agendo secondo logiche diverse sia da quelle delle istituzioni pubbliche sia da quelle delle imprese: cooperative sociali, associazioni di volontariato, fondazioni e organizzazioni simili.

La loro natura intermedia tra Stato e mercato risiede nel fatto che, da un lato, sono soggetti privati, che nascono dall'iniziativa di individui o gruppi, ma, dall'altro, a differenza delle attività imprenditoriali avviate da privati per l'erogazione di beni o servizi, non hanno fini di lucro: gli utili che realizzano non vanno cioè distribuiti tra i membri che vi operano, ma reinvestiti nell'organizzazione stessa. Per questo motivo i soggetti del terzo settore vengono spesso indicati anche con la denominazione "organizzazioni no profit" o "imprese sociali. 


Le organizzazioni del terzo settore presentano una notevole varietà, relativa sia al loro status giuridico sia all'opera prestata: alcune erogano servizi di tipo educativo o assistenziale, altre si adoperano in attività di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, altre ancora forniscono consulenza o assistenza finanziaria.


L'esplosione del terzo settore negli ultimi decenni si colloca in un preciso momento della storia dei paesi occidentali.

- si assiste alla crisi o al ridimensionamento del Welfare State e dell'idea, a esso associata, della centralità delle istituzioni pubbliche per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. Questo fenomeno è motivato sia da una congiuntura economica di crisi internazionale che ha costretto gli Stati a ridurre drasticamente la spesa pubblica, sia dall'insoddisfazione dei cittadini stessi nei confronti del servizio pubblico, giudicato spesso insufficiente o inadeguato alle richieste delle persone.

- è emersa l'impossibilità di ovviare alle lacune dell'intervento statale mediante la semplice attribuzione di tali competenze al "mercato", cioè alle imprese. Queste ultime si sono rivelate incapaci di far fronte a esigenze che sono spesso incompatibili con l'obiettivo, da esse dichiaratamente perseguito, di incrementare i propri profitti.


A queste ragioni che spiegano lo sviluppo delle associazioni di terzo settore, occorre aggiungere il fatto che esse mobilitano esigenze e istanze ideali di tipo morale, religioso, civico, preesistenti all'insorgenza della domanda sociale: in esse trovano espressione valori come la solidarietà, l'impegno sociale, il perseguimento di scopi altruistici. 


una questione che è emersa con particolare urgenza negli ultimi anni è quella relativa all'impatto che lo sviluppo del terzo settore può avere sull'occupazione, ovvero la possibilità che esso possa creare nuovi posti di lavoro. Anche se in tale ambito esiste una quota di operato volontario, cioè prestato gratuitamente dalle persone, è cresciuto tuttavia gradualmente il numero di coloro che vi trovano un'occupazione a pieno titolo, con diverse mansioni e competenze.


Sono molte le direzioni in cui il terzo settore può incidere sull'occupazione:

- Può erogare servizi su commissione della pubblica amministrazione, 

- creare opportunità occupazionali sostitutive o aggiuntive rispetto ai posti di lavoro pubblici 


Le organizzazioni del terzo settore possono operare direttamente con i consumatori, ai quali garantiscono, proprio per l'assenza di finalità di lucro, prestazioni in grado di abbinare buona qualità e costi contenuti. Di tali prestazioni possono avvalersi le stesse imprese.




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